Cottura della ceramica col metodo in fossa



Attività svolta da C. Brandolini e L. Panachia


Dall'amicizia, dalla passione per la storia e archeologia preistorica tra Cristiano Brandolini e Gianluca Panachia nasce la collaborazione nello studiare e sperimentare tecniche e metodologie antiche.

L'Archeologia Sperimentale è una disciplina storica che tenta di verificare sperimentalmente, cioè in maniera riproducibile e misurabile, le tecniche costruttive e di fabbricazione antiche, la durata di manufatti ed edifici così prodotti, l'organizzazione del lavoro e sociale necessaria per arrivare a quei risultati.

L'ARGILLA E LA COTTURA DELLA CERAMICA PREISTORICA

CON IL METODO 'IN FOSSA'



Argilla

È il termine che definisce un sedimento non litificato estremamente fine costituito principalmente da alluminio-silicati idratati appartenenti alla classe dei fillosolicati.

La formazione delle Argille come sedimenti clastici sciolti o come suoli, avviene per dilavamento di rocce contenenti minerali argillosi, con la concentrazione del sedimento fine, a seguito di un lungo trasporto prevalentemente in acqua, in ambienti lacustri, marini, lagunari.

Le argille in natura si trovano in diverse colorazioni :

verdi, ocra, rosse, grigie, brune, bianche.

Il colore dell'argilla non condiziona assolutamente la colorazione del manufatto a fine cottura.

L'argilla con la quale si producono forme ceramiche è un materiale composto inorganico, non metallico, rigido e fragile quando è solo essiccato e non cotto, risulta molto duttile allo stato naturale con il quale si producono diversi oggetti, tra cui vasellame e statuine decorative.

La ceramica è usualmente composta da diversi materiali: argilla, feldspato, sabbia, ossido di ferro, allumina e quarzo. Una composizione così articolata determina la presenza di strutture molecolari appiattite dette fillosilicati. La forma di questi, in presenza di acqua, conferisce all'argilla una certa plasticità e ne rende la lavorazione più facile e proficua.

Dopo l'essicazzione e la successiva cottura ad alte temperature il prodotto ceramico perde la sua fragilità acquistando una certa robustezza.

Lavorazione dell'argilla: la ceramica

La lavorazione della ceramica ha origini antichissime, i primi manufatti risalgono al neolitico e si compongono di vasellame realizzato senza l'ausilio del tornio (non ancora inventato) e cotto direttamente sul fuoco.

Malgrado noi tratteremo nello specifico solo quella preistorica, meritano comunque un accenno i diversi tipi di ceramiche esistenti.

I quattro tipi di ceramiche principali sono la terracotta o coccio, le terraglie, il gres e la porcellana, che può essere tenera o dura.

ceramiche a pasta compatta. Rientrano nel gruppo i gres e le porcellane. Hanno una bassissima porosità e buone doti di impermeabilità ai gas e ai liquidi. Non si lasciano scalfire neanche da una punta d'acciaio.

ceramiche a pasta porosa. Sono tipicamente le terraglie, le maioliche e le terrecotte. Hanno pasta tenera e assorbente, più facilmente scalfibile.


La terracotta è il tipo di ceramica che è stata interessata dai nostri studi e sperimentazioni, in quanto la ceramica prodotta in epoca preistorica e protostorica rientra per le sue caratteristiche peculiari in questo 'tipo'.

Le terrecotte

Sono ceramiche che, dopo il processo di cottura presentano una colorazione che varia dal giallo al rosso mattone, grazie alla presenza di sali o ossidi di ferro. La cottura si effettua a 930 - 960° C. La presenza di ossido di ferro, oltre a dare il colore tipico rosso (se la cottura non avviene in riduzione di ossigeno), migliora anche la resistenza meccanica della ceramica cotta.

Selezione e preparazione dell'argilla

L'argilla viene anzitutto selezionata per la lavorazione che si intende portare avanti. I tre tipi di argilla usata sono:

Caolino. Presenta bassa plasticità, colore bianco, scarso potere essiccante ed è refrattario.

Argilla sabbiosa. Presenta alta plasticità e grana fine.

Argille refrattarie. Sono specialmente resistenti al fuoco.

Quale che sia l'argilla che si utilizzerà, essa non è direttamente utilizzabile al suo stato naturale ma richiede una ripulitura dalle impurità, ad esempio presenza di radici o altri materiali organici.

Un ulteriore processo per ottenere argille raffinate, è quello di scioglierla in acqua per la lavatura, che causa la dispersione dei sali solubili. Infine può subire una ulteriore depurazione per eliminare le residue impurità e soprattutto per affinarla, togliendo le particelle a granulometria più grossolana. Questi ultimi processi di affinazione nelle argille preistoriche non vengono effettuati.

L'argilla ripulita viene poi conservata un blocchi e lasciata essiccare.

Lavorazione dell'argilla

Dopo essere stata precedentemente selezionata, ripulita e conservata essiccata, per la fabbricazione della ceramica si procede spezzandola e macinandola finemente con l'ausilio di macinelli in pietra o legno, portando l'argilla ad una granulometria fine che permette una giusta velocità di essiccamento e una corretta reattività in fase di cottura. Successivamente il prodotto va miscelato in percentuale variabile alla "chamotte", ovvero polvere ottenuta dalla macinazione della ceramica precedentemente cotta (solitamente si utilizzano scarti di cottura) con lo scopo soprattutto di rendere il prodotto resistente agli sbalzi repentini di calore.. Miscelati i due elementi si procede ad impastarli mediante l'aggiunta di acqua. La fase di impasto è molto importante in quanto il prodotto non deve presentare al suo interno eventuali bolle d'aria e deve avere una resa compatta e plasticità ottimale, questo per prevenire il formarsi di crepe nel prodotto finito.

L'impasto ottenuto lo si lascia riposare almeno per una giornata (stagionatura).

Modellazione

Un'arte tanto antica ha accumulato nei secoli varie tecniche di modellazione. Tra di esse ricordiamo:

Modellazzione a mano libera

È la più antica ed è simile a quanto fanno i bambini quando giocano con il pongo: si prende una porzione di argilla e, con il solo uso delle mani, si modella la forma desiderata. È possibile avvalersi dell'ausilio di alcuni strumenti quali le stecche per le rifiniture dell'oggetto modellato.

Modellazzione a colombino

Prevede l'uso e l'assemblaggio dei colombini di argilla. Si dividono blocchi di argilla delle dimensioni di un sigaro e si stendono con i palmi delle mani, ottenendo dei lunghi cilindri simili a lunghi grissini. Si arrotolano questi colombini gli uni sopra agli altri, si uniscono fra di loro e si lisciano per ottenere una superficie compatta. Con questa lavorazione, ugualmente antica, si modellano soprattutto vasi e ciotole.

Modellazione a lastre

Si prende un pane d'argilla e se ne tagliano lastre di spessore omogeneo usando un filo o stendendole con un matterello. Successivamente le lastre vengono tagliate a stampo oppure giuntate tra loro con l'aiuto di incisioni spalmate con barbottina. La "barbottina" è una sorta di collante, la si produce impastando una piccola quantità di argilla con dell'aceto, creando una sorta di crema abbastanza liquida.

Essiccazione

Qualunque sia la tecnica che si è adottata, è necessario che i manufatti in argilla essicchino completamente all'aria. A questa fase va dedicata una particolare cura. Una essiccazione omogenea e uniforme è garanzia di durevolezza dell'oggetto finito e soprattutto della coerenza della sua

forma: una essiccazione non uniforme può generare deformazioni. Solo dopo questa fase si può procedere alla cottura. L'essiccazione, consente all'oggetto la perdita di umidità e plasticità e viene così fissata la forma che gli si è data.

Dopo un certo periodo di essiccazione l'argilla raggiunge lo stadio adatto ad essere incisa e decorata. Tale stadio è detto 'stadio della durezza cuoio': l'argilla è infatti già indurita, ma mantiene ancora una certa residua plasticità.

In questa fase è possibile anche steccare il manufatto con l'ausilio di un ciottolino in pietra molto liscio per rendere compatta e liscia la sua superficie. Le particelle argillose, a causa dello strofinio, affiorano in superficie, allineandosi e stringendosi tra loro, diminuendo la porosità dello strato più superficiale e avendo come effetto la lucidatura naturale del pezzo. Originariamente l’intento era soprattutto quello di rendere, quanto più possibile, impermeabile il vasellame. Successivamente servì anche per il decoro, grazie all’effetto-contrasto che si viene a creare tra la parte lucidata e quella rimasta opaca

Effettuata la fase di steccatura, si può ottenere una lucidatura ottimale spennellando la superficie del manufatto con del latte, e strofinandolo quando asciutto con un panno di lana.

Cottura

Terminata la delicata fase dell'essiccazione e steccatura-lucidatura si procede con quella della cottura. Questa avviene in fornaci apposite, che raggiungono temperature che possono andare parecchio oltre i 1000° C. Il processo può durare anche molte ore. È infatti necessario che la temperatura segua curve di crescita e decrescita graduali e prestabilite, e che tutte le varie fasi abbiano una durata prestabilita. In seguito alla cottura il prodotto subisce un'ulteriore riduzione di volume.

Poiché la cottura modifica la struttura del prodotto finale, modulandola si possono ottenere risultati diversi:

Terracotta - si ottiene mantenendosi tra 960 e 1030° C

Terraglia tenera - si ha tra 960 e 1070° C

Terraglia dura - si ha tra 1050 e 1150° C

Nelle diverse fasi della cottura, inoltre, avvengono varie trasformazioni:

tra la temperatura ambiente e 200° C - si elimina l'acqua igroscopica residua nell'impasto e quella contenuta da alcuni sali, come ad esempio il gesso

tra i 250° C e i 350 °C - le materie organiche vanno in combustione. Viene liberata l'acqua zeolitica chimicamente combinata

tra i 450° C e i 850° C - si decompongono i minerali delle argille, liberando l'acqua reticolare

800° C - si decompongono i carbonati (decarbonatazione) e si ossidano i solfuri

oltre i 1000° C - fondono i feldspati, e si ottiene la vetrificazione

Va ricordato, infine, che la presenza di ossigeno in camera di combustione determina il degrado delle sostanze organiche presenti, nonché l'ossidazione delle sostanze minerali. Come risultato si ottiene un prodotto di color rosso ruggine per azione dell'ossigeno (ossidante) sul ferro. Si otterrà, invece, un colore nero scuro per azione del vapore e monossido di carbonio (riducente).

Metodo di cottura a cielo aperto 'in fossa'

Il metodo di cottura adottato e sperimentato da noi è quello di un focolare all'aperto, 'in fossa'.

Le più antiche strutture destinate alla cottura dei manufatti ceramici erano temporanee, a cielo aperto, dove si cuocevano vasellami di dimensioni e numero limitato, i quali cuocevano a diretto contatto con il combustibile raggiungendo temperature non molto elevate e in atmosfera riducente che conferiva la classica colorazione bruno-nerastra al vasellame.

Le terminologie per definire le varie strutture per cottura a cielo aperto sono diverse, ne riportiamo alcune: forno a camera unica, forno all'aperto, forno in cotto, fornace in fossa, focolare a fossa, cottura in buca, cottura in fossa, forno a pipa, fornace a manica, fornace a cupola.

La terminologia 'forno' e 'fornace' per indicare focolari di cottura a cielo aperto privi di strutture fisse è ambiguo ed errato. Un forno o fornace indica un impianto fisso dotato di elementi strutturali essenziali quali una camera di combustione e una camera di cottura, elementi questi totalmente assenti in una semplice buca a cielo aperto scavata nel terreno.

È bene quindi definire questo tipo di pratica con una terminologia corretta -'cottura in buca' o 'cottura in fossa'- dove il termine "cottura" indica appunto la procedura del cuocere che è completata dall'indicazione di luogo ovvero "buca" o "fossa", ai due termini si può aggiungerne un terzo, quello che determina la pratica lavorativa 'semplice' o 'a catasta' nel caso in cui la ceramica venga disposta appunto a catasta all'interno della fossa.

I rinvenimenti databili all'epoca preistoria e protostorica riconducibili con esattezza alla cottura della ceramica sono molto scarsi, consistono in fosse o buche, riempite di ceneri, carboni e frammenti di ceramica, le pareti e il fondo della buca presentano una superficie concotta per il contatto prolungato con il fuoco. Spesso purtroppo per le pessime condizioni di conservazione queste strutture risultano di non facile interpretazione.

La cottura a cielo aperto è comunque la cottura "primitiva" in genere- è molto affascinante ma al tempo stesso richiede una buona esperienza e tecnica in quanto i manufatti come detto, cuociono a contatto diretto con il combustibile il quale assume posizioni casuali e in continuo mutamento durante la cottura all'interno della fossa, anche la mancanza di un tiraggio di alimentazione perfettamente strutturato e controllato aumenta l'irregolarità dell'andamento del fuoco. la temperatura all'interno della fossa non è mai uniforme e solo una buona esperienza fa si che lo "sperimentatore" riesca a controllare i tempi di cottura e i gradi di temperatura nei vari step. Egli infatti può basarsi esclusivamente su fattori empirici: visibili, come il colore del fuoco che varia in base alla temperatura; e cronologici, ossia quanto tempo deve cuocere il materiale nelle varie fasi fino a raggiungere l'aspetto desiderato e ottimale.

Non abbiamo sonde che ci indicano le temperature o termostati che regolano le stesse nelle varie fasi di cottura, non abbiamo nemmeno meccanismi che regolino il fuoco per renderlo omogeneo, tutto avviene in modo naturale e primitivo, ripercorrendo gli antichi gesti dei nostri avi, la capacità ed esperienza dell'uomo è l'unico fattore che può garantire un risultato ottimale o un clamoroso fallimento con la conseguente perdita di tutti i manufatti.


Bibliografia

Le classi ceramiche. Situazione degli studi. Atti della 10ª Giornata di Archeometria della Ceramica, Edipuglia 2009.

Ninina Cuomo di Caprio, La ceramica in archeologia 2: antiche tecniche di lavorazione e moderni metodi di indagine, L'ERMA di BRETSCHNEIDER, 2007

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Video documentario sulla cottura della ceramica

col metodo in fossa





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